Ma tu mi ami ancora?! Comunicazione e conflitti nella coppia

Questa riflessione che propongo oggi nasce dall’esperienza degli ultimi mesi con alcune coppie che ho in terapia. Mi sono resa conto che c’è una crescente richiesta trasversale di supporto psicologico: coppie che stanno facendo un’esperienza di convivenza o sono sposate da qualche tempo (in questi casi inizia pian piano a venire meno il castello dorato dell’idealizzazione dell’altro che era stato inconsciamente costruito), coppie con figli piccoli o grandi che devono far fronte alla complessità della realtà  nella quale siamo tutti inseriti e, infine, coppie che hanno ormai i figli fuori casa ma che si rendono conto di aver investito molto nella genitorialità e poco nella loro complicità.

Motivo per cui sembra che non ci sia più nulla da dirsi… ovviamente il panorama è molto più sfaccettato ma, per sintetizzare, possiamo anche aggiungere che sulla “pelle” della coppia in generale si giocano partite cariche di aspettative: l’essere genitori ma anche, contemporaneamente, l’essere figli con ciò che ne consegue, le pressioni del lavoro e l’evoluzione di una società che va sempre più nella direzione della performance, dove l’imperativo è l’essere bravi in ogni ruolo ad ogni costo.

Discutere o comunicare?

E allora cosa si può fare per evitare che le discussioni e il malumore prendano il sopravvento a discapito di una buona comunicazione che, forse, potrebbe aiutare il confronto?

Intanto non si può evitare di discutere però si può imparare a farlo in maniera funzionale.

Da qui l’importanza di una buona comunicazione con l’altro che è l’unica modalità che abbiamo per far emergere i nostri pensieri, desideri, bisogni, emozioni e, ovviamente, contempla anche l’ascolto dell’altro. Ormai dovrebbe essere compresa e accettata l’idea che l’essere innamorati non dà certezza di conoscere l’altro e, anche se l’altro ci ama, questo non significa che ci capisca in tutte le nostre sfumature. 

Eppure quello che riscontro, per esempio, è che anche le coppie che stanno insieme da più tempo pensino che non sia necessario comunicare all’altro il proprio stato d’animo, le proprie emozioni perché l’altro dovrebbe capirlo da solo…purtroppo non è così…

Comunicare significa mettere in comune e questo richiede un impegno ma non solo… tempo (che è la risorsa che oggi manca tantissimo) e, se possibile, anche un luogo dove poterlo fare… ma che sia un luogo intimo dove la coppia possa ritrovarsi anche se per poco tempo (nel caso in cui ci fossero i figli) per confrontarsi… magari anche solo nella camera da letto prima di addormentarsi (evitando di dormire sul divano… come spesso succede).

La terapia di coppia

Le coppie in terapia spesso chiedono delle soluzioni per risolvere il problema oppure chiedono al terapeuta di farsi “mediatore” della situazione…e quando invece io comincio a chiedere: “Ma lei come si è sentita quando Giovanni le ha detto questa cosa?” Oppure: ”ma che impatto ha avuto questo evento su di voi come coppia…come vi siete sentiti?”…

Se prima c’era da parte mia l’esigenza di far abbassare i toni, oppure di gestire meglio i tempi della comunicazione per evitare che fosse sempre uno dei due a parlare mentre l’altro si crogiolava nel silenzio…ecco che la mia domanda fa calare il gelo…

Le domande che ho scritto (a titolo di esempio) avrebbero lo scopo di esplorare una dimensione più di tipo emozionale all’interno della coppia che, però, fa fatica a rispondere. Sono preparatissimi sulla parte concreta, organizzativa, di gestione mentre su ciò che sentono non trovano le parole….un mio paziente mi ha risposto ad un certo punto: ”Non mi sento…” per dire che non sentiva niente. 

Ovviamente sono implicati anche dei meccanismi di difesa inconsci tra cui la razionalizzazione che ci permette spesso di trovare delle cornici perfette nelle quali depositare le nostre vite, giustificando in maniera anche molto precisa le nostre scelte ed evitandoci di entrare in contatto con la sofferenza che scaturisce da un dialogo più emotivo con noi stessi e con gli altri.

Quale potrebbe essere allora l’obiettivo di una terapia di coppia? 

Quello che io penso è che la coppia dovrebbe riuscire nel tempo a riappropriarsi di parti di sé all’interno del legame… la riflessione potrebbe essere quella di pensare a cosa racconti di me quello che sta succedendo nel legame. Questo sarebbe già un bel passaggio di consapevolezza che porterebbe la coppia a responsabilizzarsi, liberando anche l’altro/a da missioni salvifiche che non può e non è in grado umanamente di fare.

Chiudo questa riflessione non con una citazione poetica, come spesso mi piace fare, ma prendendo le parole espresse da diversi pazienti che, dopo alcuni incontri di terapia in coppia, mi dicono…”nonostante ci conosciamo da tanti anni, è la prima volta che sento pronunciare da lei/da lui queste parole…che mi hanno toccato molto. Ho scoperto delle cose che non avrei mai immaginato…cose che sento per la prima volta….”.

Rigenerare il legame di coppia o un nuovo capitolo

Questo dovrebbe aiutarci a capire quanto possa essere importante chiedere aiuto quando siamo in difficoltà con l’altro perché credo che i legami possano sempre essere rigenerati a partire da un confronto sincero che, a volte, necessita di un terapeuta per poter essere legittimato.

Quando scrivo che i legami possono sempre essere rigenerati intendo dire che si può ricominciare insieme un nuovo capitolo del proprio romanzo di vita insieme oppure ci si può accorgere che le strade devono separarsi ma, in ogni caso, farlo con consapevolezza che implica che ci sia un allineamento tra il nostro cuore, la nostra mente e le nostre intenzioni fa si che tutto diventi meno drammatico…che segua un’evoluzione fisiologica, il più possibile allineata con i nostri vissuti, le nostre scoperte che devono tener conto dei vissuti e delle scoperte dell’altro. 

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